Kintsugi: l’arte delle preziose cicatrici.

 

Quando una ciotola, una teiera o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere.

Eppure c’è un’alternativa, una pratica giapponese che fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto.

Si chiama kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente oro (“kin”) e riunire, riparare, ricongiunzione (“tsugi”).

Quest’arte giapponese prescrive l’uso di un metallo prezioso – che può essere oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro – per riunire i pezzi di un oggetto di ceramica rotto, esaltando le nuove nervature create. La tecnica consiste nel riunirne i frammenti dandogli un aspetto nuovo attraverso le cicatrici impreziosite. Ogni pezzo riparato diviene unico e irripetibile, per via della casualità con cui la ceramica si frantuma e delle irregolari, ramificate decorazioni che si formano e che vengono esaltate dal metallo.

Rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura all’oggetto, che diventa ancora più pregiato. Grazie alle sue cicatrici.

L’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi. Così le cicatrici diventano bellezza da esibire

Con questa tecnica si creano vere e proprie opere d’arte, sempre diverse, ognuna con la propria trama da raccontare, ognuna con la propria bellezza da esibire, questo proprio grazie all’unicità delle crepe che si creano quando l’oggetto si rompe, come fossero le ferite che lasciano tracce diverse su ognuno di noi.

Tradizionalmente, il collante usato è la lacca urushi, che si ricava da millenni dalla pianta Rhus verniciflua. I cinesi la utilizzavano da millenni e in Giappone, nella Tomba Shimahama nella Prefettura di Fukui, sono stati rinvenuti oggetti laccati come pettini e vassoi, usati nel periodo Jomon circa 5.000 anni fa. Inizialmente questa linfa appiccicosa era utilizzata, per le sua qualità adesive, nella realizzazione di armi da guerra e da caccia.
La tecnica kintsugi potrebbe essere stata inventata intorno al XV secolo, quando l’ottavo shogun  Ashikaga, dopo aver rotto la propria tazza di tè preferita decise di tentare la riparazione affidandola ad alcuni artigiani giapponesi, i quali  decisero di provare a trasformarla in gioiello riempiendo le crepe con resina laccata e polvere d’oro.

La leggenda è plausibile perché situa la nascita del kintsugi in un periodo molto fecondo, per l’arte, in Giappone.

Ancora oggi, per riparare i pezzi più grandi e pregiati con la tecnica kintsugi, dati i diversi passaggi necessari e il tempo di essiccazione, può occorrere fino a un mese.

Quanti messaggi belli, ci dà il il kintsugi

Il kintsugi suggerisce paralleli suggestivi. Non si deve buttare ciò che si rompe. La rottura di un oggetto non ne rappresenta più la fine. Le sue fratture diventano trame preziose. Si deve tentare di recuperare, e nel farlo ci si guadagna.

È l’essenza della resilienza.

Nella vita di ognuno di noi, forse, si deve cercare il modo di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di crescere attraverso le proprie esperienze dolorose, di valorizzarle, esibirle e convincersi che sono proprio queste che rendono ogni persona unica, preziosa.

 

Fonte:lifegate.it

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