L’estratto di una pianta giapponese può allungare la vita?

Dove sta andando l’eterna ricerca dell’elisir di giovinezza? La molecola anti-invecchiamento è racchiusa nelle foglie di una pianta molto comune in Giappone, l’angelica keiskei (ashitaba in giapponese) ovvero foglia del domani. Coltivata da oltre duemila anni, questa pianta della famiglia delle carote con un vago sapore di sedano, è molto popolare nella terra del Sol Levante. Si mangia cotta, ma essiccata può diventare un tè. L’angelica keinskei è una delle principali piante della medicina tradizionale asiatica e negli Stati Uniti la sua reputazione di superfood sta già imperversando. Ora uno studio guidato da Frank Madeo dell’Università austriaca di Gaz appena pubblicato sulla rivista Nature Communications ha scoperto nelle foglie di questa pianta, usata dalla medicina tradizionale asiatica per gli effetti benefici sulla salute, una molecola in grado di rallentare l’invecchiamento.

Il meccanismo

Siamo di fronte a una svolta nella tanto agognata eterna giovinezza? Non ancora. Per ora è stato dimostrato che la molecola allunga la vita di lievito, vermi, moscerini e cellule umane. I ricercatori hanno analizzato le molecole antiossidanti presenti nelle foglie dell’angelica keiskei e hanno identificato un flavonoide che riduce il declino cellulare associato all’età. È stato scoperto che la molecola attiva il meccanismo di riciclaggio cellulare scoperto dal biologo giapponese Yoshinori Ohsumi e che gli è valso il Nobel per la medicina del 2016. Questo meccanismo, chiamato autofagia, rimuove e degrada i componenti cellulari danneggiati, come proteine e organelli, generando materia prima per costruire nuove molecole. Il cattivo funzionamento di questo meccanismo è all’origine sia di malattie molto diffuse, come infezioni, infiammazioni e tumori, sia di disturbi legati all’invecchiamento, a causa dell’accumulo di molecole tossiche nella cellula.

Vita allungata del 20%

Nei test di laboratorio la sostanza ha allungato la vita di lievito, vermi e moscerini della frutta di circa il 20% e ha ridotto il declino cellulare associato all’età nelle cellule umane in coltura. La molecola è stata sperimentata anche nei topi con problemi al cuore, soggetti a riduzione del flusso sanguigno (ischemia miocardica prolungata), e il trattamento ha avuto l’effetto di proteggere i tessuti. Il risultato, secondo gli autori, conferma il ruolo dell’autofagia nella protezione delle cellule e rappresenta un passo nell’identificazione di terapie anti-invecchiamento. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se questa è una strategia promettente per prevenire il declino correlato all’età negli esseri umani.

Mangiare poco

Per ora per rallentare l’invecchiamento e allungare la vita possiamo scegliere uno stile di vita salutare accompagnato sempre da attività fisica. E mangiare poco, questo è provato, è un toccasana che fa ringiovanire: i benefici sono molteplici e dimagrire è solo l’ultimo tra miglioramento di pelle, energia, libido sessuale, concentrazione e riduzione dell’infiammazione e naturalmente aumento della longevità. Del resto nelle cosidette «Blue Zones» (zone del mondo in cui si riscontrano tassi altissimi di longevità, tra cui il Giappone) il mangiare poco, senza digiuni assoluti, è caratteristica universalmente presente.

Fonte: Corriere della Sera

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