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“Sono un medico malato”

Al Convegno sull’oncologia integrata, alcuni medici portano la loro testimonianza di malati di tumore e spiegano che quando tocca a loro tutto cambia.
Anche il rapporto con i pazienti.
Cosa accade quando un medico scopre di avere un tumore?
Le emozioni sono come in piena perché spesso i dottori si sentono degli ‘intoccabili’ e pensano che mai potrebbe capitare a loro qualcosa del genere. E, invece, capita come ci racconta Enrico Gisalli, 55 anni, pneumologo in provincia di Roma.
L’impatto con la notizia.
Esattamente come accade a chiunque si trovi a ricevere una diagnosi di tumore, anche per i medici è uno choc emotivo: “Mi è caduto addosso il mondo …. Mi sono catapultato in una realtà in cui tutto diviene di colpo incerto e grigio. Vedere il teorema di una vita e di un’alimentazione sana mandare in frantumi la mia presunta invulnerabilità e poi lo spettro di un’operazione e il tunnel di cure chemioterapiche…” racconta il dottor Gisalli.
Come cambia il rapporto con i pazienti.
Quando un medico diventa anche paziente tutto cambia, anche il suo modo di fare medicina e relazionarsi con i malati: “Ogni volta che incontravo i miei pazienti sentivo che avevo perso ogni sicurezza, ogni autorevolezza ed ero come svuotato – ci racconta il dottor Gisalli. Ne parlai con i miei familiari che mi stimolarono ad agire con la massima energia; non mi fermai, volli sentire altri due pareri di autorevoli luminari della oncologia e nel frattempo mi andai ad aggiornare nel web sul decorso e la prognosi della mia malattia, ma poi decisi di lasciar perdere, poiché la mia insicurezza diventava sempre più acuta”.
L’intervento.
Il dottor Gisalli, che svolge la sua professione in provincia di Roma, si è fatto operare a Villalba a Bologna rivolgendosi al chirurgo che aveva organizzato il circuito ‘Medico cura te stesso’ ed i relativi protocolli di sorveglianza: “Gli chiesi di dirmi la verità, di indirizzarmi al meglio perché dovevo prendere decisioni sulla mia vita” prosegue. L’intervento andò bene: il medico-paziente se la cavò con l’asportazione di un pezzo di intestino e del lobo sinistro del fegato. “Fui rassicurato del successo chirurgico, ma l’esame istologico rivelò che la malattia aveva sfiorato la parete dell’intestino e verosimilmente si sarebbe sparsa nel peritoneo. Iniziai subito dopo i cicli di chemioterapia a Roma alternando momento di sfiducia e di depressione a momenti in cui mi si riaccendeva la speranza di guarire…”.
La tentazione di arrendersi.
Il medico-paziente è stato sul punto di abbandonare il suo lavoro e darsi per vinto: “Cercai dei buoni motivi per accettare il mio destino, rilessi alcuni filosofi come Socrate, Platone e andai a cercare tre le righe di Ippocrate se vi fosse un buon metodo per accettare la malattia e la morte” prosegue Gisalli.
Ancore di salvezza.
Ad un certo punto si ricordò della religione che aveva iniziato a praticare per educazione familiare e che poi aveva gradualmente tralasciato quasi fosse una ammissione di debolezza e di fragilità che non si addiceva ad un medico. “La religione è stata la vera molla che mi ha riscattato da quel periodo di apatia in cui ero sprofondato, che mi ha dato la carica per esprimere al meglio le mie risorse residue sportive, professionali ed artistiche. Infatti, mi sono dedicato anche alla musica”.
La ripresa.
Gisalli ha cominciato a frequentare un’associazione che si occupa di curare gli emarginati con un ambulatorio gratuito e nel frattempo ha ripreso la sua attività di clinico, con una sensibilità ed una forza tutta particolare di cui alcuni pazienti si sono accorti. “Nel frattempo ho continuato a curarmi, ingerendo veleni speriamo benefici in una sorta di mitridatismo che mi ha fatto vivere a fondo la mia partecipazione alle sventure degli altri. Ho cominciato a considerare i benefici di certe cure alternative con erbe, senza mai sopravvalutare in modo fanatico il loro potere terapeutico ma prima, quando un paziente mi chiedeva consigli su questo argomento rispondevo un po’ seccato che non mi occupavo dell’argomento e che forse vi erano un sacco di fandonie e di marketing, ma ora studio e cerco di capire e consigliare al meglio”.
Cosa c’è di buono.
A volte anche dalle brutte esperienze si ricava qualcosa di buono. “Il miglior beneficio che ho tratto dalla mia malattia con cui sto ancora lottando e con scarse possibilità di guarire – racconta Gisalli – è la metodica con cui mi sono accostato a chi come me è ammalato di cancro e lotta e soffre. A loro anch’ io racconto brandelli della mia storia con l’intento di rafforzare in lui ottimismo e speranza. Ho trovato medici gentili ed infermieri deliziosi e porto con me lo stimolo imperativo di restituire l’umanità e il bene che ho ricevuto a chi sta peggio e che incontro, al di la della mia scrivania o per la strada o nell’ambulatorio dei migranti e dei disperati: ciò mi fa sentire bene e dimenticare che ho una bomba ad orologeria innescata nella mia pancia; e mi sforzo di  pensare e di credere con più vigore che se dovrò morire, comunque vivrò una seconda vita, poiché non ho più certezze o dogmi e sto tornando ippocratico. Sono un medico malato”.
Fonte: La Repubblica

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